Parole in Tour è la nostra campagna di comunicazione, all’interno di Percorsi 2021 (dal 27 al 4 luglio), che promuove i comportamenti diretti al contrasto della violenza di genere. Dal 1 luglio verranno affisse nelle vetrine dei negozi aderenti delle città di Pesaro e di Fano i manifesti e le scritte artistiche che denunciano i comportamenti negativi e promuovono quelli positivi.
Vocaboli noti e meno noti, parole nuove che descrivono comportamenti violenti nei confronti delle donne, a volte non percepiti come tali e di cui non si riconosce ancora la pericolosità; parole consuete e da valorizzare per comportamenti diretti a contrastare violenze che mutano nella forma, a volte nella percezione, ma non nella sostanza.
CATCALLING
E’ la molestia verbale rivolta prevalentemente a donne per strada da parte di persone sconosciute: complimenti non richiesti, commenti volgari spesso a sfondo sessuale, fischi, strombazzate dall’auto, domande invadenti e offese che possono suscitare in chi le subisce disagio, senso di impotenza, rabbia, senso di colpa, ansia, paura, incremento di timore dello stupro.
Qualsiasi attenzione sessuale indesiderata rivolta a donne incontrate per strada, attraverso comportamenti verbali e fisici, costituisce una molestia perché non ha nulla a che fare con un tentativo consensuale di corteggiamento, bensì costituisce una manifestazione della violenza di genere, motivata dalla volontà di prevaricazione verso il sesso femminile. Esercitando il catcalling si cerca di affermare il potere dell’uomo sulla donna, di mantenere alto il vessillo della mascolinità davanti al gruppo di amici, e non certo di rivolgere un complimento sincero alla passante di turno.
In Italia, così come in molti altri paesi, questo fenomeno non è ancora considerato un reato nonostante la molestia presenti delle caratteristiche chiare, codificabili e ripetibili.
Scrive Michela Murgia:
“non è un playboy quello che fa un complimento da una macchina, ma un estraneo convinto di avere il diritto di esprimere sul tuo corpo un parere che non gli hai assolutamente richiesto”
All’origine di questa espressione ci sarebbe uno strumento: il “catcall”; utilizzato nel teatro inglese nel XVII secolo, era una sorta di fischietto che il pubblico impiegava per esprimere disapprovazione rispetto allo spettacolo.
E’ POSSIBILE CONTRASTARE IL CATCALLING PRATICANDO IL RISPETTO
BODY SHAMING
E’ l’atto di deridere e mortificare qualcuno per il proprio aspetto fisico. Pratica molto diffusa nel web e nei social attraverso commenti offensivi, sarcastici e velenosi su chi non rientra nei canoni estetici imposti dalla società. Può suscitare in chi lo subisce senso di colpa e vergogna.
La derisione del corpo, può colpire entrambi i sessi. Ne sono particolarmente soggetti gli adolescenti soprattutto di sesso femminile, a causa della ricerca di accettazione sociale e dei cambiamenti fisici legati all’età. Gli standard di bellezza dettati dalla cultura e dai mass media vengono facilmente interiorizzati e la poca fiducia nel proprio aspetto fisico può influenzare la salute mentale in modo profondo ad ogni età; per questo la vittima di Body Shaming può sperimentare emozioni, sintomi o condizioni di malessere psicologico gravi e profondi come vergogna, ansia, anoressia, depressione, rabbia, riduzione di autostima, desiderio di morte.
L’unico modo per prevenire discriminazione, razzismo, bullismo e infelicità a causa del proprio aspetto è un’educazione che inizi fin dall’infanzia e che insegni che siamo tutti diversi – non solo fisicamente -, che non esiste il modo giusto o sbagliato di essere e che la diversità è un bene prezioso.
Per approfondire il fat acceptance: https://www.belledifaccia.it/
E’ POSSIBILE CONTRASTARE IL BODY SHAMING PRATICANDO L’ INCLUSIONE
GASLIGHTING
È una forma di manipolazione psicologica sottile e subdola, vengono presentate alla vittima false informazioni con l’intento di farla dubitare della sua stessa memoria e percezione. Lavora a un livello emotivamente molto profondo, ha lo scopo di compromettere, fino ad annullare, la capacità di giudizio di chi la subisce.
Vengono messe in dubbio dall’aggressore la correttezza delle percezioni e dei ricordi della vittima. È considerata una forte violenza psicologica, è più diffusa di quanto si creda, specie nelle relazioni tra partner o parenti stretti. Pian piano la persona colpita perderà la propria autonomia e comincerà a mettere in discussione la propria reale percezione.
Alcuni esempi di Gaslighting: “Te lo sei immaginato! “Non è mai successo! “Ma come fai a non ricordatelo… me lo hai detto proprio tu! “Non me lo hai mai detto, volevi dirlo ma non lo hai mai fatto!”
Le conseguenze del Gaslighting possono essere molto gravi: stato di totale confusione, sensazione di non valere nulla, stanchezza fisica e mentale, vergogna, totale dipendenza e idealizzazione del Gaslighter. Spesso c’è molta difficoltà a denunciare tali condotte manipolatorie e i motivi possono essere molteplici: l’affetto provato per il partner ma anche la reale incapacità di riconoscere gli atti persecutori poiché essi sono ben mascherati da atteggiamenti di cura e protezione. Molte vittime non si rendono conto delle ferite che vengono loro inferte, a volte pensano di essere esse stesse il problema e per questo non chiedono aiuto.
La parola gaslighting ha la sua radice nel film “Gaslight” del 1944 (regia di George Cukor con Ingrid Bergman, Charles Boyer e Angela Lansbury) tradotto in italiano con “Angoscia”,
leggi qui la trama del film:
- https://it.wikipedia.org/wiki/Angoscia_(film_1944)
- https://www.comingsoon.it/film/angoscia/24122/scheda/
Se vuoi approfondire l’argomento http://eugeniaromanelli.it/filmografia-del-gaslighting/
E’ POSSIBILE CONTRASTARE IL GASLIGHTING PRATICANDO L’ ONESTA’
MANSPLAINING
“Si tratta di un atteggiamento paternalistico, accondiscendente o di sufficienza di alcuni uomini che spiegano o insegnano ad una donna qualcosa di ovvio, generalmente noto o semplice, dando per scontato che l’interlocutrice, in quanto donna, la ignori. Ha lo scopo di sottolineare la ritenuta inferiorità della donna”
Il termine mansplaining, espressione superba della mascolinità tossica, nato dalla unione tra man + explaining, è stato creato dalla scrittrice Rebecca Solnit nel suo libro “Gli uomini mi spiegano le cose”. Il mansplainer così facendo intende infatti rafforzare il concetto di superiorità di genere e si aspetta normalmente che la donna gli sia grata della spiegazione.
È sul luogo di lavoro che il mansplaining può diventare un vero problema, soprattutto se le donne lo subiscono da colleghi e superiori: in particolare se il mansplaining si trasforma in un modo per escludere le donne, anche se qualificate, dalle decisioni di responsabilità. Il manslaning tradotto in italiano con il termine gergale di “minchiarimento”, solitamente viene introdotto da espressioni quali “Lascia che ti spieghi”, “Forse non sai che”, “Voi donne dovreste capire che…”
E’ una pratica molto diffusa e si assiste così di frequente a manifestazioni di mansplaining, proprio perchè viviamo in una società fortemente patriarcale. Prestare attenzione a questa condotta vi farà acquisire consapevolezza sulla frequenza con cui viene esercitato tale comportamento da parte degli uomini.
La traduzione italiana in “minchiarimento” non è certo ufficiale e ne dissertano autrici e linguiste che si occupano del tema, tra le altre Michela Murgia e Vera Gheno #minchiarimento.
Per approfondire
- https://www.bossy.it/no-il-mansplaining-non-e-semplice-arroganza.html
- https://www.alfemminile.com/women-empowerment/mansplaining-s4021959.html
E’ POSSIBILE CONTRASTARE IL MANSPLAINING PRATICANDO IL SILENZIO
REVENGE PORN
“E’ la pubblicazione non consensuale di immagini o video intimi attraverso internet. Spesso usata quale strumento di vendetta dopo la fine di una relazione, è volta a distruggere la reputazione della vittima. E’ stato introdotto come reato dalla Legge n. 69 del 19 luglio 2019, denominata “Codice Rosso”.
Tale pratica è considerata una forma di violenza, di abuso sessuale e psicologico. Il reato di revenge porn è sanzionato con la reclusione da 1 a 6 anni e una multa che può andare dai 5 mila ai 15 mila euro; se il reato è commesso nell’ambito di una relazione affettiva, anche passata, o attraverso l’uso di strumenti informatici, allora questi elementi sono considerati aggravanti.
La criminalizzazione di ogni forma di diffusione di materiale sessuale senza il consenso della vittima è importantissima. Le conseguenze psicologiche e fisiche sulle vittime di revenge porn sono analoghe a quelle provocate da ogni altra forma di violenza e abuso sessuale. Le vittime tendono a essere iper vigilanti nelle interazioni virtuali e reali, a controllare internet e i social in modo compulsivo al fine di scongiurare il rischio di essere nuovamente visibili.
Il revenge porn provoca un danno continuo e di lunga durata in conseguenza del quale le vittime vivono costantemente la paura di essere riconosciute, nella preoccupazione di non sapere chi e quanti possano aver visto le proprie immagini. Si tratta di una nuova forma di violenza “tecnologica”. Gli uomini che pubblicano foto intime delle proprie ex partner generalmente sentono il bisogno di riaffermare il proprio ruolo di genere (come superiore a quello della donna) recuperando quel potere che hanno sentito di aver perso subendo la decisione di chiusura della relazione sentimentale.
Per approfondimenti: https://www.ipsico.it/news/revenge-porn-le-nuove-forme-di-violenza-tecnologica/
E’ POSSIBILE CONTRASTARE IL REVENGE PORN PRATICANDO IL CONSENSO
STEALTHING
“E’ una pratica di sabotaggio dei preservativi, consiste nel togliere o danneggiare il contracettivo senza chiedere il consenso della partner, determinando il rischio di trasmissione di malattie e/o di gravidanza indesiderata”
Lo stealthing è considerato una forma di violenza sessuale perché non tiene conto del consenso del/la partner provocando un forte senso di disagio nella persona che lo subisce inconsapevolmente. La frequenza con cui questo atto viene messo in pratica è allarmante ed è una grave violenza della dignità e della autonomia della persona.
Lo stealthing non è una preferenza sessuale come vorrebbe far credere al partner il soggetto che lo pratica, ma un abuso a tutti gli effetti. La mancanza di un approfondimento sul tema ha fatto sì che, negli anni, le vittime di questa orribile pratica non riuscissero a focalizzare la gravità della violenza subita anche a causa della forte contiguità della stessa con uno stupro dal quale, lo stealthing, si differenzia in verità unicamente per via del consenso iniziale prestato al rapporto.
Oggi è chiaro che lo stealthing è una forma di violenza di genere e di abuso sessuale, che procura non solo possibili gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili, ma anche un forte contraccolpo psicologico nella vittima per le eventuali conseguenze che ne derivano. La pratica dello stealthing è considerata un reato nel Regno Unito, in Svizzera e in Germania.
Per approfondimenti e fonti: https://www.huffingtonpost.it/2017/04/27/stealthing-cosa-c-e-da-sapere-sulla-nuova-pratica-sessuale-ille_a_22058249/
E’ POSSIBILE CONTRASTARE LO STEALTHING PRATICANDO LA PROTEZIONE
VICTIM BLAMING
“Consiste nel ritenere la vittima di una violenza corresponsabile delle condotte subite. Tende pertanto alla colpevolizzazione della stessa. Sono espressioni spesso utilizzate dai media, nei social e nei tribunali che tendono a sminuire la responsabilità dell’autore della violenza enfatizzando alcuni comportamenti della vittima come se fossero una giustificazione della violenza”.
Victim blaming significa letteralmente “colpevolizzazione della vittima” o della persona sopravvissuta. Il victim blaming consiste espressamente nel ritenere la vittima di un abuso o di una violenza o di un crimine, responsabile di ciò che le è accaduto, inducendola ad autocolpevolizzarsi.
Per lungo tempo e tristemente spesso al giorno d’oggi, le donne (e gli uomini) vittime di violenza domestica sono ritenute essere le cause della propria sofferenza perché le aggressioni sono viste come il risultato di un comportamento provocatorio o qualsiasi altra dinamica che rende l’avvenimento spiegabile all’interno del concetto di causa-effetto.
Il victim blaming generalmente si innesca in caso di reati di natura violenta o sessuale. L’abuso sessuale è il reato che più di tutti rischia di innescare meccanismi di colpevolizzazione della vittima.
La maggior parte delle persone, indipendentemente dal genere, in un caso di violenza tende a prendere le parti della vittima. Chi pratica il victim blaming tenta di spostare l’enfasi dall’aggressore alla vittima, cercando di instillare l’idea che per esempio la donna che ha subito violenza non sia priva di colpe e che ella abbia in qualche modo provocato l’aggressione. Statisticamente è possibile osservare che tra chi esercita il victim blaming sono presenti più uomini che donne. La percentuale tende a essere di due ad uno. Questa tendenza rende il victim blaming un comportamento che sembrerebbe più tipico della mentalità maschile che di quella femminile.
Interessante riflessione è quella che riconduce il fenomeno del victim blaming, il bisogno di colpevolizzare la vittima del reato, al bisogno di ciascuno di ovviare e tenere distanti da sé le situazioni negative. Ecco che, convincendosi che la violenza sia espressamente e unicamente dipesa dal comportamento della vittima, risulterà facile scansarla: basterà semplicemente evitare di mettersi in certe situazioni “pericolose”. Questa spiegazione semplicistica aiuta uomini e donne ad elaborare l’idea di un mondo giusto nel quale certe cose (come i comportamenti violenti ed aggressivi) accadono solo se ti comporti in maniera “sbagliata”. Famoso il “processo per stupro” del 1979 in cui l’avvocata Tina Lagostena Bassi si è trovata a difendere Fiorella, vittima di stupro, non solo dagli artefici della violenza ma anche dalle accuse dei loro legali, accuse volte a dimostrare atteggiamenti sconvenienti e provocatori della ragazza nei confronti di giovani bravi ragazzi di buona famiglia (gli stupratori).
Il victim blaming è espressione della paura che, di fronte a delle violenze anche feroci, ci spinge a prendere le distanze dalla vittima/sopravvissuta, colpevolizzandola o girandoci dall’altra parte; il che non fa altro che farla sprofondare in una assordante solitudine. Molto spesso il suo modo di vivere viene messo a processo anche dopo la morte e si può sentire un tripudio di frasi di biasimo che la colpevolizzano anche per il fatto di aver sottaciuto e di aver sopportato in silenzio la violenza senza renderne partecipe la comunità.
Il victim-blaming non è un atteggiamento mentale innocuo, può rappresentare un ostacolo insormontabile per le vittime nel momento della richiesta di aiuto (per esempio una vittima di stupro può decidere di non segnalare o denunciare ciò che le è successo per paura di essere giudicata e ritenuta addirittura responsabile dell’accaduto).
Esempi di victim blaming sono le classiche espressioni: “se l’è cercata!” “ma lei com’era vestita?” “per forza ti molestano, guarda come ti vesti!” “se vai a ballare poi non lamentarti se ti stuprano” “ti avevo detto di non tornare a casa da sola di notte…”
Per approfondire: https://www.bossy.it/victim-blaming-quando-e-colpa-della-vittima.html
Se vuoi vedere il filmato di processo per stupro: https://www.raiplay.it/programmi/processoperstuprolarringadilagostenabassi
E’ POSSIBILE CONTRASTARE IL VICTIM BLAMING PRATICANDO RESPONSABILITA’